EXPAT di Isabella Sorace
L’esordio narrativo di Isabella Sorace traccia il racconto di Sara, expat che decide di andare incontro al proprio destino lontano del suo Paese d’origine.
Un’uscita, spesso con poche possibilità di ritorno. Si potrebbe riassumere così la storia dei cosiddetti «cervelli in fuga», gli expat, come si definiscono; ovvero l’esperienza di tutti coloro che per scelta o necessità hanno deciso di costruire una nuova vita all’estero, portando con sé le proprie professionalità e competenze.
Come spesso accade, dietro a tali esperienze di vita ci sono storie e desideri sempre diversi, ma con un comune denominatore, quello di appartenere a una «generazione perduta» in cerca di formazione, crescita, rinascita. In cerca di casa.
Sono gli attuali trentenni, che tra viaggi, globalizzazione e sogno lavorativo, hanno fatto le valigie per lasciare un Paese in cui spesso si sentono invisibili.
«Andare via non è stata una fuga, piuttosto una scelta, un andare incontro al mio destino» racconta Isabella Sorace, autrice di Expat – Storie di una generazione perduta (MnM & Amolà 2022). Esordio letterario che attraverso le vicende della protagonista Sara e degli altri giovani che incontra per il mondo tenta di definire meglio il senso di precarietà e non appartenenza che accompagna chi diventa expat, e di smontare, in parte, alcuni stereotipi su questa generazione. Proprio la storia personale di Isabella sottolinea la necessità di guardare il fenomeno in modo trasversale.
Bergamasca di nascita, classe 1989, laurea specialistica in finanza alla Bocconi di Milano, svizzera d’adozione, Isabella ha lasciato l’Italia per la prima volta nel 2013. Da allora, ha traslocato circa undici volte: nella stessa città, o cambiando nazione. «Il circa è necessario, perché potrei dimenticarmi di qualche trasloco intermedio, senza poi contare i posti dove ho vissuto per qualche settimana senza avere fatto un vero e proprio trasloco. L’idea della protagonista di Expat, Sara, una viaggiatrice senza sosta, nasce proprio da tale esperienza, anche se lei in realtà è molto più viaggiatrice di me, che sono ferma in Svizzera ormai da sei anni, pur avendo cambiato casa già quattro volte in questi sei anni».
È così che, come Isabella – vissuta negli ultimi anni tra Londra, Milano, Tel Aviv e Zurigo, dove lavora come Transformation Manager per un’importante Società di consulenza strategica e gestionale –, anche la sua invenzione letteraria Sara corre per il mondo. Ogni Paese in cui vive le regala maggior consapevolezza di sé stessa, ma in nessun luogo riesce a mettere davvero radici. Non finché non avrà raccolto l’ultimo tassello del puzzle, e trovato un posto da chiamare casa, insieme all’amore.
«La vita da expat è spesso molto più complessa di come la si immagina dall’Italia. Ci chiamano cervelli in fuga, come se tutto quello che ci portiamo dietro sia solo il nostro lavoro. Non è così. Partire è la cosa più semplice, rimanere poi fermi a lungo in un nuovo Paese diventa invece complicato. Per esempio, a Zurigo ci sono molti italiani expat, ma la maggior parte di loro non rimane a lungo. Dopo qualche anno tornano in Italia, o si spostano altrove. La difficoltà sta proprio nel mettere nuove radici».
Più che cervelli in fuga, molti expat sono semplicemente in cerca di un posto, di un momento, di una persona da chiamare casa. Perché per una ragione o per un’altra, il luogo da cui provengono non lo sentono come tale. La definizione expat contiene in sé un senso indefinito di precarietà, prelude a una condizione temporanea. Per questo, almeno una volta nella vita, ogni expat prova la sensazione di non appartenenza. Vivere all’estero è un’esperienza complessa e costellata da emozioni diverse, legate a doppio filo al momento che si sta vivendo e alle motivazioni che hanno spinto alla partenza. Significa fare i conti anche con l’incertezza del rimanere. È possibile allora costruire un nuovo senso di appartenenza?
«Chiamiamo expat chi si trasferisce da qualche parte per lavoro, ma lo fa con l’idea di muoversi di nuovo, un giorno. È un modo di vivere diverso rispetto a quello di chi si trasferisce con l’idea di mettere radici in un altro Paese. Nel libro cerco di affrontare anche questo aspetto. Ogni comunità expat, un po’ ovunque nel mondo, fa i conti con una realtà precaria. Gli expat arrivano e partono in continuazione, e creare legami di lunga durata diventa estremamente complicato. Quello che ho vissuto e che provo a trasferire nel romanzo, attraverso la storia di Sara e di altri giovani come lei, è che nel senso di precarietà che spesso accompagna chi ha scelto di vivere in un altro Paese, le amicizie sono fondamentali. A volte si fa fatica a trovare persone a noi affini nel luogo in cui siamo nati. C’è chi si adegua a questa cosa, e chi invece cerca altrove. Ho conosciuto le mie amiche più care nelle città in cui ho vissuto. E anche se la maggior parte di loro sono lontane, rimangono le più vicine, quasi di famiglia. Persone che non avrei mai incontrato, se non avessi avuto il coraggio di lasciare tutto e partire», conclude Isabella Sorace.
Romanzo di formazione, Expat offre uno spaccato narrativo di questo mondo, un fenomeno in continua crescita. Si può definire la storia di molti, di tutte quelle persone che lasciano il proprio Paese in cerca di fortuna, stabilità e di un luogo dove vivere.
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