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“Camera degli Sposi e altri misteri” È SOLO UN MATRIMONIO di Renzo Margonari 

 Andavo volentieri alla colonia elioterapica in riva al Lago Superiore, ogni mattina con una marcia militarmente inquadrata, oltre Belfi ore. Lì eravamo abbandonati ai giochi liberi fi no al rancio, un brodino sospetto in cui ogni tanto scoprivamo nuotare qualche camola. Alcuni tra i più grandicelli traevano furtivamente dalla pettorina della divisa – una tutina con calzoni corti di rigatino grigio blu e bretelle – qualche fumetto, edizioni Nerbini, tavole bicolori, nero e rosa, quadrotte, de l’Uomo Mascherato o Gordon, e attorno si formavano crocchi carbonari.

Fumetti proibitissimi.

Nel dopoguerra, tra quelli celebri dei prolifi i fratelli Cossio, i più sgrammaticati ma di cui adoravo il disegno, anch’io portavo a scuola Raff pugno d’acciaio di V. Cossio e M. Guerri, 1844; Mirko il gigante di V. Cossio, 1947; Dick Fulmine rieditato, di C. Cossio, e Saetta di C. Cossio, 1946: me li prestavano o li rubavo al giornalaio. Durante l’occupazione alleata, sgraffi gnavo i fumetti dalle jeep dei militari americani e conobbi Disney, Al Capp, Chester Gould, Hal Foster, imparando qualche parola inglese, come chewinggum (per noi, ciuinga).

I maestri elementari erano nemici giurati dei fumetti.

Effettivamente, le “nuvolette” fornivano incredibili strafalcioni grammaticali e li consideravano molto diseducativi. Allora intrapresi una vasta collezione e con rigore fi lologico m’interessai alla storia del fumetto. Non immaginavo che un giorno “le strisce” avrebbero assunto un ruolo didattico, persino per la storia dell’arte, o che gli autori più famosi sarebbero stati invitati lasciare un autoritratto agli Uffizi, e che – ben dopo la Francia, il Belgio e il Regno Unito – anche in Italia, il Ministero dei Beni Culturali avrebbe varato un decreto in favore del fumetto, e le nostre biblioteche pubbliche, avrebbero finalmente definito uno spazio riservato a questo genere letterario.

A Mantova, dove allignano alcune personalità dell’ambiente fumettistico, Giancarlo Malagutti (Mantova, 1955), ben noto disegnatore, soggettista, illustratore di libri per l’infanzia, attivo dal 1973, si distingue per la rilevante qualità di storico ottimamente documentato, sia come autore di testi sia come disegnatore. Ora sta lavorando a una storia sulla Camera degli Sposi. La protagonista, con la nana Lucia, è la bambina che ascoltava la storia di Sabbioneta da una saggia oca parlante. Nell’affresco mantegnesco, invece, parla la nana ducale Lucia che si lascia andare a qualche simpatica esclamazione in dialetto mantovano.

Il libro Camera degli Sposi e altri misteri sarà presentato nei giorni del prossimo Festivaletteratura.

È già prenotabile presso outisfumetti. com, disponibile anche in lingua francese e inglese. Qui Malagutti evidenzia parecchie distopie negli studi che illustrano l’affresco mantegnesco, ipotizzando una più corretta interpretazione da me suggerita, esposta grazie alla libertà interlocutoria del mezzo narrativo, trasferendosi al piano fantastico sempre presente nell’immaginazione mantegnesca. L’illustrazione più sicura del senso del suo capolavoro mantovano è l’opera stessa che non ammette interpretazioni fantasiose ma indirizza la semplice lettura di ciò che raffi gura. Sulla parete mantegnesca affrescata, la nana Lucia posa tenendo le mani in grembo come si atteggiano normalmente le donne in attesa. È un atteggiamento allusivo. Non sta “a braccia conserte” come alcuni sostengono, e preme sulla veste rossa una fascia bianca. Il rosso e il bianco sono colori di casa Gonzaga. La nana è abbigliata come tutti i famigli, servitori, e mansionari di corte vestendo i colori della casata. Piuttosto colpisce che tutti gli studi, soffermandosi sulla fi gura di Lucia, commentino che tiene in mano “un fazzoletto” senza osservare che il panno adombra pudicamente l’allusione erotica mimata dal gesto popolare e indelicato delle sue piccole mani. Non è un fazzoletto, infatti, ma una nappa di quelle che si usavano per i neonati fasciati come piccole mummie, come si vede nei dipinti mantegneschi Presentazione di Gesù al Tempio di cui esiste una versione nella cappella dedicata al maestro nella Basilica di S. Andrea. Oltre ai colori simbolici, si dovrebbe denotare l’atteggiamento significante del gesto, inequivocabile, poiché la piccola cortigiana, mentre con la destra preme la fascia contro il petto, aggancia con l’indice sinistro il dito anulare destro e con la destra introduce l’indice nella mano sinistra alludendo così all’inanellamento nuziale e alla congiunzione carnale degli sposi. Gli studiosi schivano questa evidenza. Con quel gesto (data la morale dell’epoca, anzi beneaugurante) la nana auspica che il matrimonio sia allietato da una nascita. Lei è stata la nutrice e l’educatrice di Barbarina. Racconta con orgoglio, comunicando la notizia a chi osserva dal basso. È questo il senso di tanta evidenza, quasi avanzandosi al fi ne di attirare l’attenzione su quel gesto. La nana, dunque, è la protagonista “portavoce” nella famosissima rappresentazione. Questa osservazione, evidentemente irrefutabile poiché consiste nel rilevare con semplice concretezza l’evidenza di quanto è precisamente rappresentato, può aprire nuove prospettive sulla interpretazione dell’intera scena celebrativa dell’evento. In fondo, il racconto è assai semplice – anche la mia versione -, ma in ogni gran capolavoro di cui molto è risaputo, c’è sempre molto altro da scoprire, basta vedere ciò che si guarda.

Articolo pubblicato su La nuova cronaca di Mantova di Venerdì 5 agosto 2022 per gentile concessione di Renzo Margonari e Werther Gorni

Giancarlo Malagutti 

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