Le tradizioni di Carnevale nel Basso Mantovano
Sino alla metà del secolo scorso, nel Basso Mantovano il Carnevale cominciava poco dopo la festività di Sant’Antonio Abate. In quasi ogni centro abitato veglioni e serate di ballo non mancavano; nelle località più grandi si avviava in contemporanea la costruzione dei carri allegorici per il Corso Mascherato; a ciò provvedevano delle officine e dei capannoni attrezzati per queste opere. Un apposito comitato si occupava infine dei giochi da praticarsi dal giovedì al martedì grasso: cuccagna, rottura delle pignatte, corsa nei sacchi e degli asini, gruppi mascherati e maschere singole da passerella. I veglioni si tenevano in teatri o in grandi sale; addobbi di qualità e specchi abbellivano le arene al coperto. Soprattutto le donne sfoggiavano vestiti eleganti e ricercati, ed un’orchestra di fama allietava il pubblico sino a tarda ora. Anche nelle campagne tuttavia, seppure in sale più modeste e con orchestrine meno note e sistemate su grandi tavoli, il divertimento era assicurato e si ballavano valzer, tango, polka, fox trot e mazurca. Se la festa poi era privata, a queste danze a volte se ne aggiungevano di speciali.
Ad esempio “il ballo delle dame” (in cui la ragazza doveva scegliersi il ballerino), quello “dello specchio” (una giovane con uno specchio in mano, seduta su una seggiola sceglieva il suo ballerino tra i ragazzi che passavano camminando dietro la sedia. Lo specchio passava poi nelle mani di un’altra donzella che continuava il gioco sino all’esaurimento delle coppie in sala). “Kitaldanz” (danza a saltelli in cui le coppie via via s’intrecciavano sino a comporre un allegro girotondo finale) e “ballo dell’ohimè” (in cui i giovani ballerini a turno si scambiavano stornelli umoristici) concludevano una festa che, se privata, spesso aveva la figura del Capo Festa. Egli decideva se alle danze potevano partecipare o meno i ragazzi “forestieri”, riservando loro “il ballo dell’intruso”. Il Carnevale entrava nel vivo a partire da giovedì grasso, detto anche “gioedì fritlèr” perchè nell’occasione si consumavano le tipiche frittelle. Ad esso seguiva “venerdì gnocoler” poiché nei vicini borghi del Veronese vi era l’usanza di cucinare i gnocchi e distribuirli poi gratis alla popolazione. Domenica e martedì, ultimi giorni di quello che oggi definiremmo il lungo week end carnascialesco, la gente sin dal primo pomeriggio si riversava nelle strade e nelle piazze in un clima di allegria collettiva. Il clou dell’evento consisteva nel Corso Mascherato, allestito nei centri più popolosi della zona quali Ostiglia e Poggio Rusco. I carri, curati alla perfezione, presentavano figure allegoriche o satiriche collegati a fatti o personaggi della zona.
Trainati da mezzi di fortuna, a bordo ospitavano un’orchestrina ed un gruppo di belle ragazze che cantavano lanciando coriandoli, stelle filanti, dolcetti e mandarini. Al termine del movimentato ed un po’ pazzo pomeriggio, allietato pure dalla sfilata di gruppi o singoli con maschere classiche ed anche della zona, talvolta si celebrava il processo al Carnevale. Impersonato da un uomo molto grasso a braccetto con la moglie Quaresima, una vecchina magra ed in lacrime per l’imminente fine del marito, l’imputato con aria triste veniva sottoposto al giudizio di una severa corte. La sentenza era pronunciata da un giudice incappucciato ed attorniato dai giurati; urla e risate della folla accompagnavano l’uscita di scena di un condannato mitico, passato in pochi minuti “dalle stelle alle stalle”.
Roberto Oliani