Le navi bianche, il rientro degli emigrati italiani in Etiopia nel 1942/43
La cosiddetta “Epopea delle navi bianche” del 1942/43, quando 28.000 prigionieri italiani – donne, bambini, malati, anziani – vennero trasportati, in piena guerra, dall’Etiopia all’Italia su navi della Croce Rossa, ha dell’incredibile.
Questa vicenda ha inizio quando in Etiopia, di fronte alla travolgente avanzata inglese, il Viceré Amedeo, duca d’Aosta, dovette firmare la resa il 17 maggio 1941. In Eritrea, Etiopia e Somalia, però, i Britannici dovettero organizzare il destino dei civili italiani, rinchiusi in campi di prigionia. Qui era durissima la vita, le condizioni igienico-sanitarie assai precarie. Si diffuse un’epidemia di morbillo. Molti bambini si ammalarono di enterocolite emorragica. Sorse il problema di che fine avrebbero fatto questi “prigionieri speciali”, anche perché si temevano possibili atti di saccheggio, violenze, massacri da parte degli Shiftà, guerriglieri a metà strada tra l’essere patrioti in cerca di rivalsa, e predoni feroci, che volevano vendicare il trattamento non proprio “civile” dei militari e dei capi fascisti durante “la conquista dell’Impero”.
Proprio da queste preoccupazioni nacque quell’iniziativa, chiamata “epopea delle navi bianche”, che, con la mediazione della Croce Rossa Internazionale, portò al viaggio, fedelmente narrato da Tina Lucchini Canestrari – nonna dell’attuale Dirigente del “Torriani” Roberta Mozzi e madre della prof.ssa Caterina Canestrari, la “Rirì”, bimba di tre anni, di cui parla in due quadernetti.
Come riferisce lo storico Emanuele Ertola (Navi bianche. Il rimpatrio dei civili italiani dall’Africa Orientale, in “Passato e Presente”, 2014), già il giorno precedente al ritorno del Negus ad Addis Abeba, il 4 maggio 1941, gli Inglesi tramite l’ambasciata USA a Roma comunicarono al Governo Italiano, che erano disponibili a favorire il rimpatrio di parte dei civili là residenti. All’inizio da parte di Mussolini ci fu un tacito rifiuto: non si voleva ammettere che l’Africa Orientale fosse oramai persa. Ma poi si avviarono complesse trattative, con la mediazione degli Stati Uniti e della Svizzera. Si doveva organizzare e finanziare tre missioni per ricondurre in patria questi civili “fragili”. Un viaggio di quasi 23.000 miglia marine per circumnavigare l’Africa – dato il blocco del Canale di Suez – dalla Somalia Britannica al Sud Africa, e da qui alle Canarie fino a Gibilterra e poi nel Mediterraneo, fino ai porti italiani. Vi furono impiegate le motonavi “Saturnia”, “Vulcania”, “Giulio Cesare” e “Duilio”. Viaggiavano anche di notte con le luci accese, per segnalare che si trattava di navi “ospedale”. Le missioni si svolsero nel marzo/giugno 1942, dal settembre 1942 al gennaio 1943, nel maggio/agosto 1943.