Associazione Mantovani nel mondo

I cavaler- i bachi da seta

Cari mantovani, sempre con l’intento e lo spirito di conservare memorie di  una cultura contadina. Memorie e cultura  che, tra un po’ verranno sepolte dalla plastica e dimenticate, per la naturale estinzione della generazione che ha vissuto quelle esperienze. Vi mando una paginetta di ricordi relativi alla bachicultura, che si praticava anche nella nostra provincia, nella speranza possa suscitare interesse da parte di qualche lettore.

” I cavaler”- i bachi da seta”   di Franco Turrina

Fino a tutta la metà del secolo scorso, 1950 circa, anche nella nostra provincia, la produzione della seta, (bachicoltura) era abbastanza diffusa e rappresentava un’entrata complementare alle magre risorse delle famiglie contadine. Questa mia modesta descrizione, non pretende essere un trattato di storia, né tanto meno di scienze naturali, intende soltanto raccontare ai giovani di oggi un aspetto di vita reale, vissuta nelle nostre campagne, dalle generazioni passate.
A metà aprile si approntavano le attrezzature, conservate dall’anno precedente, necessarie per l’allevamento dei bachi da seta e per la raccolta del prodotto che era appunto la seta in bozzoli.  Tutto il processo si svolgeva in un periodo abbastanza breve (45 giorni circa), ma notevolmente invadente ed impegnativo tanto da sconvolgere la vita nelle famiglie. Ai primi di maggio, passava per le corti l’incaricato del “padrone”, avvertiva che i “semi” erano nati e quindi si doveva provvedere al ritiro dei bachi nella quantità e specie a suo tempo concordati. Dovevamo percorrere alcuni chilometri per recarci da un certo “maestro” in pensione che, per passione o per arrotondare le sue magre entrate, si era dotato di una primitiva incubatrice entro la quale, verso metà aprile, poneva i “semi” (uova dei bachi), affinché il calore appropriato ed una certa umidità schiudessero. A pensarci ora, certamente il maestro doveva possedere notevoli doti tecniche e passione per svolgere quelle mansioni.
Le uova della farfalla baco da seta, assomigliano ad una capocchia di fiammifero, di colore giallognolo. Al momento della deposizione sono adesive e mamma farfalla depone incollandole allineate su di un cartone predisposto. Le farfalle non sono atte al volo, si spostano svolazzando di pochi centimetri, sufficienti ad incontrare quella di sesso opposto, accoppiarsi per la fecondazione. Dopo aver deposto centinaia d’uova, la vita del baco, in veste di farfalla, finisce. Le uova si schiudono ai primi di maggio, (volutamente, perché in quel mese i gelsi emettono le prime foglie, alimento indispensabile). Sono state deposte l’anno precedente e selezionate diligentemente per razza. Infatti, esistevano diverse razze di bachi, alcuni erano completamente bianchi altri erano zebrati, bianchi e neri. Alcune specie producevano seta color giallo oro, altre davano bozzoli completamente bianchi, altre ancora, rosati e vellutati.

 

L’unità di misura relativa alla quantità dei bachi era l’oncia (unità di peso), circa 30 grammi di semi. Noi contadini, si allevava una o due once di bachi, la quantità era relativa agli spazi di cui si disponeva nella casa ed alle braccia su cui si poteva fare affidamento. Si, perché quegli insignificanti 30 grammi di semi, nel giro di qualche settimana avrebbero rivoluzionato e messo a soqquadro la casa e la famiglia.  Mio nonno tornava dal maestro con i bachi nati, li portava in una sporta, protetti come oracolo. Si trattava di una busta di carta assorbente e i bachi un essa contenuti assomigliavano ad un agglomerato di migliaia di formichine. La schiusa avveniva nell’arco di tre quattro giorni quindi, più tardi bisognava ripassare a ritirare i secondi nati, altra busta, altre ” formiche”. Il completamento avveniva in tre riprese. Durante quei primi tre quattro giorni, i nuovi “inquilini” venivano appoggiati su di un cassone, sopra un foglio di carta ed alimentati con foglioline di gelso fresche, tritate come tabacco. I bachi non uscivano dal foglio contenente il loro cibo. Nel frattempo, bisognava predisporre una complessa impalcatura atta a sostenere numerosi graticci in canne, quattro o cinque ripiani mobili delle dimensioni d’alcuni metri, (la famosa pedagnà). Un’oncia di bachi avrebbe occupato due di queste pedagnà. Di conseguenza, bisognava spostare mobili, (quei pochi che c’erano), cambiare posto dei letti, tavolo e cucina. Succedeva molto spesso che uno o più elementi della famiglia dovessero dormire sul fienile. Questi cambiamenti provocavano invidie e gelosie tra noi ragazzi desiderosi di novità.
 
I bachi poi, avevano bisogno di caldo e qualche anno, in maggio capitava molto spesso che il clima fosse freddo e piovoso, allora bisognava riaccendere la stufa e fare i fumi con foglie d’ulivo benedetto, (raccomandava la vecchia esperta).  I  famosi tre fogli di carta delle dimensioni un mezzo giornale, ingombri di piccolissimi mangiatori di foglie, crescevano e bisognava diradarli, diventavano sei, delle dimensioni di un giornale e dopo tre giorni, dodici ed occupavano intieri graticci. La voracità aumentava, se nei primi giorni bastava un cestino di foglie tritate, dopo una settimana le foglie necessarie erano diventate uno o due sacchi, più tardi anche quattro cinque, cioè qualche quintale di foglie in un giorno. Nel giro di venti giorni, le formichine nere e pelose erano diventate bianchi vermiciattoli morbidi e lucenti, delle dimensioni di un dito mignolo. Sempre affamati, se sani.
 
La foglia di gelso andava somministrata asciutta, non bagnata e succedeva che nei giorni di pioggia, oltre a tutte le difficoltà di reperire alcuni sacchi di foglie sugli alberi, sotto la pioggia, bisognava provvedere ad asciugarla quindi, tutti gli spazi della casa venivano occupati da uno strato di foglie messe ad asciugare e ad evitare fermentazioni. La casa era diventata un bosco e noi ragazzi provavamo un gran piacere ad inventare giochi nuovi, protetti da tutto quel trambusto senza regole. Dopo tre settimane l’impegno era tale per cui più persone dovevano lasciare ogni altro lavoro e dedicarsi completamente ai bachi. Le foglie di gelso venivano raccolte con l’impiego di scale, per arrivare ai rami alti dell’albero, insaccate e trasportate a casa con un carro e cavallo, messi a disposizione dal “padrone”, lo stesso padrone della casa e delle campagne ove crescevano i gelsi.  Le foglie venivano distribuite uniformemente sui graticci occupati dai bachi, due volte il giorno. Ora non più tritate. Quando migliaia di questi insetti iniziavano a mangiare si sentiva un brusio in tutta la casa, lo stesso rumore della pioggia quando cade sulle foglie nell’orto. Durante il mese di vita, i bachi avevano fatto quattro mute. Cioè cambiato quattro volte la pelle. Nel giorno della muta l’insetto non mangia. Pronto a recuperare il tempo perduto il giorno dopo.
 
Verso il mese di vita, sembrava si fossero accordati, nessuno mangiava più, poi, presi da un delirio collettivo, tutti in fuga alla ricerca di un posto ove intrecciare il bozzolo nel quale rinchiudersi, fuggivano dai graticci, salivano dai pali di sostegno, si arrampicano alle pareti. Allora bisogna stendere sui graticci una serie di fasci di ramoscelli leggeri intrecciati, entro i quali essi andavano a scegliersi il posto più adatto per la loro dimora. Il lavoro della raccolta delle foglie era finito!
 
Tutti i bachi sani occupavano spazi disponibili tra i ramoscelli delle fascine predisposte ed iniziavano a tessere il bozzolo di seta entro la quale rinchiudersi. Purtroppo molti di loro si ammalavano, proprio gli ultimi giorni erano colpiti da diverse malattie. Alcuni ingiallivano e ripiegati su loro stessi morivano, altri diventavano “rigidi bastoncini di gesso”. Queste epidemie ci trovavano completamente disarmati e sprovveduti. Chi diceva che la causa fosse il freddo, chi il caldo. Qualcuno invocava la benedizione del prete. Purtroppo in pochi giorni vedevi andare in fumo tante fatiche e speranze.  Quando i bozzoli erano “maturi”, cioè quando il baco aveva completato di stendere sulla parete interna del bozzolo la sua bava di seta, otto, dieci giorni dal momento che si erano rinchiusi. I bozzoli al tatto erano abbastanza consistenti e l’esperienza ci diceva che era l’ora della raccolta. Venivano raccolti in ceste, selezionati e puliti della ovatta esterna (spelaia).
 
La selezione consisteva nella cernita dei bozzoli singoli, sani, dai “doppi”. I doppi erano bozzoli entro i quali si erano rinchiusi due bachi. Non credo che questo comportamento fosse legato al sesso, comunque il bozzolo doppio era molto più scadente e deprezzato. Un’oncia di bachi poteva rendere 60-70 Kg di bozzoli se andava bene, tanti anni non si raggiungeva i 40 proprio a causa di quelle infezioni sconosciute. Andavamo a consegnare il prodotto in un vecchio essiccatoio in provincia di Verona.  Dopo qualche mese il padrone ci mandava l’importo corrispondente che rappresentava il 50 per cento del prodotto. Se andava bene, era un consistente aiuto e tante famiglie potevano acquistare la dote per la figlia. Nei giorni a venire, noi ragazzi vedevamo con nostalgia smantellati i nostri nascondigli e le case tornare quelle di sempre. Succedeva che durante la “fuga” alcuni bachi avessero realizzato il loro bozzolo nascosto da qualche trave o in qualche fessura passando così inosservati alla raccolta. In quel caso, all’interno del bozzolo dopo alcuni giorni, il baco sempre vivo, si trasformava in crisalide e da questa in farfalla.

La farfalla aveva la capacità di forare dall’interno, lo spessore del bozzolo di seta. Verso fine giugno, trovavamo strane, pesanti farfalle per casa.  Erano le farfalle dei bachi superstiti, non finiti all’essicatoio.  Le farfalle femmina sono molto più tozze, cercavano disperate il loro compagno. Noi ragazzini seguivamo con interesse le fasi dell’accoppiamento e della deposizione delle uova. Si diceva che qualcuno avesse provato a conservare le uova per il nuovo anno nel tentativo di “imbrogliare” il padrone, allevando bachi fuori dal controllo.

 

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