Marco Pezzoni, cremonese, è stato, unitamente al bergamasco Tremaglia, il vero “padre” della Legge sull’esercizio del voto degli Italiani all’estero, contribuendo in modo determinante ai primi passaggi parlamentari di modifica della Costituzione durante la XIII legislatura (1996 -2001) e alla successiva elaborazione del testo definitivo che poi sarà approvato dal Parlamento.
Daniele Marconcini presidente del nostro sodalizio di lui dice ” Uomo del dialogo tra le varie componenti politiche in Parlamento, ha operato per tre legislature, e ancora oggi raffigura il vero spirito del riformismo lombardo, proteso verso l’Europa e al Mondo ma saldo nei valori delle proprie tradizioni sociali e politiche nate e sviluppatesi nel territorio. Marco per me è stato ed è un vero maestro di vita politica per la sua onestà intellettuale e la sua profonda conoscenza dei movimenti sociali in Italia ed in Europa. Ho sempre apprezzato il suo disincantato approccio all’attuale politica nazionale, assai poco esaltante e priva nella sua classe politica di quelle personalità che, pur nelle divisioni ideologiche, hanno nel passato trovato momenti unitari in nome di quell’interesse nazionale che tutti dicono di perseguire ma che nei fatti, non trova quella concretezza necessaria ai bisogni dell’Italia”
Questa l’intervista esclusiva rilasciata al Presidente dei Mantovani nel mondo
On. Pezzoni, ci può raccontare quando e per quali motivi lei si è avvicinato alla tematica degli italiani nel Mondo ?
” Devo confessare che non è stato amore a prima vista. Eletto per la prima volta nel 1992 al Senato, c’erano altre priorità . Il sistema politico italiano stava praticamente ‘ saltando’ : questione morale, tangentopoli, partiti in crisi o in profonda trasformazione. Era iniziata la lunga transizione che richiedeva nuove regole, elettorali e istituzionali. Tra il 91 e il 93 esplode poi la crisi Jugoslava, con guerre fratricide e l’inizio nei Balcani delle atrocità della ‘pulizia etnica’. Con il sen. Darko Bratina, eletto a Gorizia e parte della comunità slovena in Italia, lavorammo tantissimo sui diversi fronti di quella guerra che sarebbe durata 10 anni: diplomatici, politici, umanitari. Ho conosciuto così la minoranza italiana rimasta in Slovenia e Croazia, capace di conciliare identità e integrazione, lingua e cultura italiana e multiculturalismo. Ecco: è attraverso la rivalutazione del ruolo delle minoranze nel cammino della democrazia nel mondo che ho messo a fuoco ruolo e importanza dell’emigrazione italiana, anche nel tempo della globalizzazione.”
Quale ruolo lei ha svolto nell’affermare l’esercizio del diritto al voto per gli italiani all’estero? Ad avviso di molti lei è il vero artefice della legge. Cosa ci può dire a tale proposito ?
” Che è stato un cammino parlamentare lungo, avvenuto per tappe assai contrastate e in più Legislature, con resistenze fortissime sia nel centro-destra che nel centro-sinistra. Se non ci fossero stati più protagonisti in ambedue gli schieramenti, nessun demiurgo sarebbe riuscito nell’impresa. Con una differenza: mentre nel centro-destra c’era un braccio di ferro tra le posizioni ben definite di Tremaglia e quelle inizialmente contrarie di Forza Italia, nel centro-sinistra c’era una evoluzione di posizioni che richiedeva un lavoro di raccordo tra i popolari, sorti dalla crisi della DC, e i Democratici di Sinistra. Penso di aver svolto questo lavoro di ‘regia’ dal 1994 al 2001 con tenacia e discrezione, senza alcun eccesso di protagonismo che avrebbe disturbato la suscettibilità dei vari attori in campo. Basti pensare che la Proposta di Legge Costituzionale n. 2840 per la modifica degli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione, presentata dal mio gruppo il 6 luglio 1995, vide come primo firmatario il capogruppo Luigi Berlinguer, per evitare polemiche e inutili conflittualità tra chi seguiva la questione nella Commissione competente, quella degli Affari Costituzionali, e chi come me la seguiva sul versante Commissione esteri. Che una settimana dopo identica proposta venne depositata da Andreatta – Leopoldo Elia -Jervolino Russo. Che la Proposta di Legge ordinaria, scritta materialmente da me e dalla responsabile dell’emigrazione a Botteghe Oscure Tiziana Arista in 6 mesi di lavoro, ebbe identica sorte: fu presentata cioè a prima firma Luigi Berlinguer. Debbo dire che però questo comportava un fatto assai rilevante: la mia proposta diventava la linea ufficiale dei Democratici di Sinistra sia come partito che come gruppo. In forza di ciò, a Basilea, alla Conferenza dell’emigrazione convocata dalla Federazione delle Colonie Libere operante in Svizzera, ho potuto avanzare quel ‘Patto di convergenza’ tra forze di centro-destra e di centro-sinistra sulle leggi da approvare per poter permettere ai cittadini italiani residenti all’estero di votare per corrispondenza.
In quell’Assemblea al Patto da me proposto aderirono per la sua parte politica Mirko Tremaglia e per i Popolari Aldo Di Matteo. Dunque, il vero inizio del percorso legislativo per il voto per corrispondenza è da situarsi tra il 1993 e il 1995, non prima. Le condizioni per una convergenza reale e leale maturano solo a cavallo di quelle due brevi Legislature (l’ XI e la XII). Il che non significa che non ci siano state altre drammatiche battute d’arresto come il 1° agosto 1995 alla Camera dei Deputati, dove la mia proposta di mediazione riguardo al numero dei parlamentari da attribuire alla Circoscrizione Estero ( ne proponevo 12 per la Camera e 6 per il Senato) venne bocciata sia da chi ne voleva un numero maggiore come Tremaglia sia da chi non ne voleva nessuno come Forza Italia e Rifondazione Comunista. E così il percorso legislativo si arrestò anche quella volta, per riprendere solo nella Legislatura successiva quando venne riconosciuto il realismo della mia proposta. Altra brutta battuta d’arresto avvenne il 29 luglio 1998 alla Camera dei Deputati sulla modifica dell’articolo 48 della Costituzione, dopo la terza lettura al Senato e dunque in dirittura d’arrivo, con il mancato raggiungimento del quorum della maggioranza assoluta, indispensabile per le proposte di legge costituzionale. Tutto questo dimostrava una cosa: solo se l’asse di Basilea restava il perno dinamico delle varie fasi legislative, solo se reggeva l’accordo bipartisan tra i Democratici di sinistra, Alleanza Nazionale e i Popolari, poi divenuti Margherita, si poteva trascinare e aggregare gli incerti e continuare sulla strada della conquista della Circoscrizione Estero e del voto per corrispondenza.”
On. Pezzoni viene spesso attribuito a Tremaglia il merito di aver ottenuto la legge per il voto degli italiani all’estero. Quale è la sua opinione e cosa pensa di Tremaglia ?
“L’on. Mirko Tremaglia ha sicuramente il merito della primogenitura e il merito di non avere mai svenduto l’idea di fondo e cioè che i cittadini italiani potessero votare all’estero, se iscritti all’AIRE, senza essere costretti a rientrare nei collegi di origine e che potessero votare per candidati loro, in quanto espressione delle comunità italiane nel mondo. Ma ci sarà una ragione se per diversi decenni il Parlamento italiano non ha minimamente preso in considerazione simili proposte e se l’unico importante risultato raggiunto sarà nel 1987 l’approvazione della legge che istituisce l’AIRE ! Per prendere in seria considerazione la nuova modalità di voto e l’istituzione della Circoscrizione Estero occorre arrivare agli scossoni politico-istituzionali del 1992-1993, al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, alla ridiscussione dei sistemi elettorali nazionali con l’obiettivo del bipolarismo e del maggioritario. In quegli anni si struttura una nuova democrazia dell’alternanza e si formano nuovi soggetti politici che discutono di riforme costituzionali e istituzionali condivise. In questo quadro maturano le nuove posizioni: nel centro-sinistra i popolari, i prodiani e i democratici di sinistra si differenziano completamente da Rifondazione comunista, dai socialisti, dai Verdi che rimangono sostanzialmente contrari al voto per corrispondenza. Nel centro-destra passeranno anni prima che il grosso di Forza Italia converga sulle posizioni di AN. L’imboscata del 29 luglio 1998 è ancora opera dei deputati di Forza Italia, della Lega Nord e di numerosi ‘malpancisti’ di sinistra. Anche quella volta l’abilità dell’on. Tremaglia è stata quella di ripartire all’attacco ripresentando il 30 luglio 1998, cioè il giorno dopo
l’imboscata, la Proposta di modifica dell’articolo 48 della Costituzione con le firme congiunte di Achille Occhetto, di Fabio Mussi, capogruppo dei DS alla Camera, di Giovanni Bianchi, Soro e Cerulli Irelli dei Popolari, di Tatarella di AN, di Urbani e Pisanu di Forza Italia. Una simile risposta è stata possibile perché i due principali partiti del centro-sinistra hanno ribadito la loro determinazione a rilanciare il percorso di approvazione delle leggi sul voto all’estero.
Dunque i meriti andrebbero condivisi tra la tenacia e la coerenza di Tremaglia e la capacità di navigazione dei partiti riformisti del centro-sinistra che, nella XIII Legislatura ( 1996-2001), essendo al Governo del Paese, hanno saputo pilotare i lavori parlamentari in modo da far approvare le riforme costituzionali degli articoli 48, 56 e 57 che, obbligatoriamente, hanno richiesto ben 4 letture tra Camera e Senato. Anche la legge ordinaria, che verrà approvata all’inizio della XIV Legislatura, è frutto di un lavoro bipartisan se si volesse confrontare quella presentata da me come primo firmatario il 10 dicembre 1996 n. 2863 e quella presentata da Tremaglia con quella elaborata quattro anni dopo dalla sen. Franca Prisco, relatrice del provvedimento alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, si osserverebbero forti sviluppi e innovazioni. Così il testo della Prisco è stato ripreso integralmente e ripresentato all’avvio della XIV Legislatura ma poi dall’on. Antonio Soda, relatore unitario alla Camera dei Deputati, e dalla Commissione Affari Costituzionali ulteriormente e definitivamente migliorato”.
Quali sono a suo avviso le personalità e i soggetti civili, sociali e politici che hanno favorito la convergenza di intenti per una politica a sostegno degli italiani nel mondo ?
” Sono tanti, anche se minoranza in un Paese come il nostro che ha rimosso l’intera storia della nostra emigrazione fino a pochi anni fa. Tra le personalità citerei il Presidente Ciampi, prima di tutti. E’ lui che pone con forza il tema della riunificazione delle due Italie : quella che vive in patria e quella che vive fuori d’Italia. Tra gli imprenditori con una particolare sensibilità politica ricorderei Piero Bassetti, con il sistema delle Camere di Commercio all’estero. Tra i giornalisti Gian Antonio Stella con il suo libro ” L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi” che, vedo con piacere, continua le sue ricerche storiche e culturali sull’emigrazione italiana. Ma sono soprattutto i soggetti collettivi che, pur con numerosi limiti, hanno continuamente rilanciato il tema dei diritti sociali, economici e politici dei nostri connazionali all’estero: CGIL, CISL e UIL e i loro Patronati; le ACLI; le associazioni dell’emigrazione, Fondazione Migrantes, UNAIE, FILEF e Istituto Santi in testa. Ho l’impressione però che, raggiunto l’obiettivo storico del voto all’estero, tutte queste organizzazioni siano entrate in una fase di stallo, senza una vera capacità di ripensare il proprio ruolo e aprire una nuova fase. Questo è evidente anche se si guarda al CGIE, il Parlamentino che presso la Farnesina dovrebbe in gran parte rappresentare le realtà dei Comites sparsi nel mondo e che è stato negli anni 90’il motore esterno nella conquista del voto. “
Secondo lei quale è l’atteggiamento attuale delle forze politiche nei confronti degli italiani all’estero? Il voto per corrispondenza è in pericolo ?
” Mi sembra la classica situazione dei ” separati in casa “, soprattutto nel Parlamento italiano dove i deputati e senatori eletti all’estero sono depotenziati della carica di apertura e novità di cui potrebbero essere portatori e sono invece ridotti ad un ruolo neocorporativo. Per la verità è l’intera società politica italiana in fase di forte regressione, per cui la maggioranza delle forze politiche ritiene che gli italiani all’estero abbiano già ottenuto col voto una soddisfazione morale e che dunque si debbano accontentare di riconoscimenti simbolici, magari di qualche collegamento televisivo in più. Se il pendolo comincia a tornare indietro, certo che la conquista del voto può essere messa in discussione, o meglio ridimensionata a partire dalla riforma costituzionale del Senato federale.”
Qual è il suo giudizio sull’azione svolta dai parlamentari eletti all’estero? E’ d’accordo per costituire il Partito degli italiani nel Mondo ?
” Sarebbe ingiusto accomunare in un unico sommario giudizio persone con competenze e livelli di impegno assai diversi tra loro. Ho già detto il rischio che stanno correndo per la situazione complessiva di svuotamento del Parlamento dovuto al comportamento e alla concezione di fondo del Governo Berlusconi. Ma aggiungo un altro elemento che, purtroppo, caratterizza le attuali dinamiche politiche anche fuori dal Parlamento, negli stessi partiti di opposizione e nei rapporti tra centro e territori. La diminuita autorevolezza dei gruppi dirigenti spinge i parlamentari a trasformarsi in emissari del centro nei confronti delle periferie, piuttosto che in rappresentanti dei territori presso il centro. E’ anche questa frustrazione che fa risalire le azioni del Partito degli italiani nel mondo, idea che comunque non solo non condivido per nulla ma che giudico dannosa e negativa. Ritornerebbero le due Italie, sarebbe il trionfo del separatismo: una sorta di Lega degli italiani nel mondo che contratterebbe con il Governo di turno la concessione di risorse finanziare, prestazioni e servizi. Una idea da repubblica delle banane che toglierebbe ogni dignità al voto politico degli italiani all’estero.
Altra cosa è invece una profonda trasformazione in senso federalista dei partiti politici italiani: questo lo vedo invece positivamente, come traguardo più avanzato della democrazia interna e che comporta dunque unriequilibrio di potere e responsabilità tra centro e periferia. Nessun partito in Italia ha iniziato questo cammino: non il PDL che stabilirà gli equilibri interni in base ad accordi e percentuali concordate al vertice tra Berlusconi, Fini e i soci minori; non la Lega Nord che, federalista a parole, è piuttosto una “monarchia cantonale”; non l’Italia dei Valori totalmente Di Pietro-dipendente. Io spero che il Partito Democratico, ancora in fase di costruzione, colga l’opportunità di riconoscere più peso, più autonomia, più autogoverno ai territori, in particolar modo alle organizzazioni dei democratici italiani nel mondo.”
Cosa pensa dell’Associazionismo? E’ veramente in crisi o può svolgere ancora un ruolo in Italia e all’estero?
” Qualcuno ha scritto che siamo in una crisi post-democratica. Nel passaggio dalla democrazia partecipativa alla democrazia d’opinione è evidente che non solo l’associazionismo si trova messo a lato, ma che anche i partiti diventano più leggeri e ridotti a macchine elettorali. Individualismo, videocrazia, populismo sembrano stravincere. Ma è proprio così ? Poi negli Stati Uniti si afferma alla grande Obama, anche sull’onda di una incredibile partecipazione giovanile e di minoranze finalmente attive. Adesso che la crisi economica si aggrava a livello globale, sarà ancora possibile chiuderci nel nostro guscio, o ci dovremo misurare con i fenomeni planetari e con la sfida di una solidarietà anch’essa globale? Credo che la strada maestra sarà quella di una politica economica capace di riorientare il mercato, altro che neoliberismo.! Credo che la cooperazione internazionale assumerà un valore strategico e che le comunità locali dimostreranno la loro vitalità se sapranno aprirsi al partenariato con le comunità locali di altri Paesi, di altri continenti. In questo quadro l’associazionismo può tornare ad essere una “carta democratica” vincente e insostituibile, se saprà motivarsi e assumere una dimensione cosmopolitica.”
Infine, cosa si sente di dire ai giovani italiani residenti all’estero, dopo la recente Conferenza di Roma ?
” Di non ridimensionare le loro ambizioni, le loro esigenze, i loro sogni di fronte alla mediocrità del momento; di non sentirsi delusi se si aspettavano di più dalla Conferenza di Roma che, troppo tradizionalmente, ha seguito un ” modello pedagogico discendente” concedendo troppo poco spazio al confronto tra di loro e nulla al confronto con i loro coetanei in Italia. Del resto le cose più interessanti si costruiscono nel confronto tra società e società, tra comunità locali e comunità, tra ambiti scolastici e formativi, cercando di capire l’anima o le logiche dei processi in corso e la direzione che possono prendere le nostre storie personali e collettive. Comunque direi loro di prendere la Conferenza di Roma come punto di partenza, per partecipare a quella rete degli italiani nel mondo che vorrebbe giustamente rafforzare il segretario generale del CGIE Elio Carozza. La posta in gioco è la creazione di un “sistema Italia” finalmente rinnovato! Ma forse c’è di più: proprio perché sono giovani non è giusto rinchiuderli nel recinto della sola “italianità”. Italiani ma europei. Italiani ma cittadini del mondo, impegnati nella universalizzazione dei diritti umani, nel dialogo interculturale e interreligioso, nelle logiche della pace e della cooperazione internazionale, nella risoluzione politica dei conflitti.”
Daniele Marconcini