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I miei due giorni all’obitorio di Coppito

Giovane di Castel d’Ario accompagna i familiari delle vittime al riconoscimento.  Allieva della scuola per finanzieri: ho chiesto quell’incarico
di  GABRIELE DE STEFANI (articolo già pubblicato dalla Gazzetta di Mantova )

L’AQUILA. Due giorni all’obitorio di Coppito, dove sono confluiti i corpi delle vittime. Due giorni in mezzo a 287 cadaveri, nell’andirivieni dei parenti e dovendo anche pensare ad evitare l’ingresso dei curiosi. Li ha vissuti Chiara Ligabò, 25enne, di Castel d’Ario (è figlia dell’ex sindaco), allieva della Scuola per ispettori e sovrintendenti della Guardia di Finanza dell’Aquila. Quella notte il terremoto ha sconvolto anche lei e i suoi quasi 1000 compagni di corso (tutti salvi). Ma il giorno dopo, al momento di organizzare i soccorsi, la paura le era già passata. E, quando molti altri chiedevano incarichi soft, lei si è offerta di occuparsi del servizio all’obitorio.

Con il compito di accompagnare i familiari delle vittime nel tragico momento del riconoscimento dei cadaveri, compilando i referti. Laureata in criminologia e da venticinque giorni allieva della scuola per finanzieri, Chiara ha espressamente chiesto di essere impiegata in uno degli spazi dove la disperazione del terremoto è più nera. «All’università mi ero preparata per affrontare situazioni macabre – spiega – ma è inutile dire come la preparazione possa essere solo parziale: puoi metterci tutta la ‘scienza’ che vuoi, ma una realtà così ti segna per sempre, è inevitabile». Sarà per disciplina militare o perché riaprire il capitolo non è semplice, ma Chiara rifiuta di raccontare episodi e storie. É rimasta all’obitorio di Coppito per due giorni: martedì e mercoledì. In quarantotto ore ha visto sfilare tutte le conseguenze umane del disastro. E ha visto anche come la stupidità possa trovare spazio persino in questi momenti. Questo lo racconta: «Alle porte dell’obitorio abbiamo dovuto allestire un filtraggio perché c’era gente che cercava di infilarsi con il telefonino per scattare foto, creandoci qualche problema». Giovedì il trasferimento in una zona più tranquilla, quella a contatto con la stampa. Con il compito, anche qui, di vigilare sui tentativi di intrusione di persone non autorizzate all’ingresso nelle aree off limits.

Ieri, dopo i funerali di Stato cui ha assistito, la licenza. E Chiara è tornata a casa, dai suoi genitori. Genitori che erano stati il suo primo pensiero alle 3.32 di quella maledetta notte: «Dopo dieci minuti sono riuscita a prendere la linea nonostante l’intasamento e ad avvisare che stavo bene – ricorda – Raccontare quella notte è difficilissimo. I primi venti secondi, quelli della scossa, è come se fossero durati una settimana, con quei letti che si spostavano come se fossero trascinati. Poi è diventato tutto rapidissimo: credevo davvero di essere morta, correvamo tutte quasi senza accorgercene. E poi, davanti alla scuola, ci siamo ritrovate a piangere, in un atto liberatorio. Ma c’è gente che non si è liberata affatto e che è rimasta paralizzata per ore».

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